La chiusura della Casa di Trieste è l’occasione per riorganizzare la gestione delle strutture: case più vicine e collegate tra loro per fare attività insieme e ottimizzare le risorse. La sede triestina chiusa per gli ingenti lavori di adeguamento per l’accessibilità.
Un sistema di Case vicine e collegate per fare rete e migliorare il servizio di accoglienza. È questa l’idea alla base della decisione di Aedis di chiudere la Casa di Trieste dopo che dalle ultime ispezioni di controllo è sorta la necessità di provvedere all’adeguamento di accessibilità della struttura. La Casa si trovava in centro città, in piazza Carlo Alberto, zona San Vito. Ospitava fino a 12 ragazzi minori stranieri non accompagnati affidati ad Aedis dai comuni in cui sono stati identificati.
La chiusura della sede era già stata anticipata due mesi fa dopo le ispezioni quando era subito emersa l’evidenza di un intervento di adeguamento da effettuare: «La scelta – avevano spiegato da Aedis – è la conclusione a cui siamo giunti dopo una serie di ispezioni a cui le strutture che ospitano minori stranieri sono sottoposte periodicamente e che hanno evidenziato degli adeguamenti a cui abbiamo risposto in modo appropriato. Ciò su cui, invece, abbiamo dovuto fermarci sono le richieste legate all’accessibilità necessaria a fronte di ospiti con disabilità. I preventivi sono, infatti, difficilmente sostenibili con il rischio di non risolvere completamente la richiesta».
La struttura oggi è già stata completamente svuotata e i ragazzi ricollocati in altre strutture secondo i tempi e le modalità previsti in questi casi. La situazione ha permesso di fare anche un ragionamento più ampio e di rivedere tutte le case di Aedis sotto un’altra ottica, più strutturata e funzionale per gli obiettivi di formazione e integrazione dei ragazzi. L’idea è di avere strutture più vicine e collegate tra loro che permette di concentrare energie non sugli edifici, bensì sul sistema di accoglienza e sui servizi che così possono essere erogati in modo più organico e mettendo insieme le risorse. I progetti educativi possono essere proposti in modo “collettivo” e omogeneo, a partire dalla creazione di una Piccola Scuola di Italiano fino all’organizzazione di iniziative di gruppo e di confronti e scambi tra pari.
«L’esempio più lampante – spiegano – è il laboratorio UNICEF per cui i volontari del progetto hanno dovuto recarsi nelle singole case: perché non fare gruppo? Stesso discorso per l’insegnamento dell’italiano: con un bacino di ragazzi più ampio si possono creare dei gruppi omogenei e rendere più efficace l’insegnamento nei diversi livelli». I ragazzi, infatti, possono spostarsi con i mezzi pubblici e questo favorisce anche l’attività quotidiana e la conoscenza del territorio ai fini dell’integrazione. Oggi Aedis gestisce tre case, Tarcento, Cargnacco e Torviscosa, tutte facilmente raggiungibili e con spazi all’interno e all’esterno in grado di ospitare attività con più ragazzi