Sara Di Daniel, referente della Casa di Pordenone dove Aedis accoglie i minori inviati dal Tribunale dei Minori, racconta il lavoro educativo con i ragazzi minori inviati dal Centro di Giustizia Minorile. «Siamo la loro unica alternativa, dobbiamo fare del nostro meglio».
«Sono convinta che aiutare queste persone contribuisca a migliorare l’intera società»: è questa la motivazione che ha portato Sara Di Daniel a diventare la referente della Casa di Pordenone aperta da Aedis per i minori inviati dal Centro di Giustizia Minorile. Studentessa di sociologia con esperienza lavorativa pregressa in carcere, si occupa di gestire l’organizzazione di 8 ragazzi tra i 15 e i 18 anni che il Tribunale ha ritenuto adatti per la vita comunitaria come strumento di rieducazione e reinserimento sociale. All’interno della casa, infatti, il lavoro principale è di insegnare a questi ragazzi a vivere secondo dinamiche di vita a cui non sono mai stati abituati e a trovare un nuovo tipo di soddisfazione nella quotidianità.
«Non tutti comprendono la nostra voglia di aiutare queste persone, – racconta la referente – mi è capitato tante volte anche da parte di amici e coetanei di sentirmi chiedere ma perché aiuti queste persone? Sono comunque criminali, no? Io non giustifico certo i loro reati, però, sono convinta che proprio perché sono giovani devono essere aiutati: hanno tutta la vita davanti e se li continuiamo a lasciare lì, in strada, a fare quello che hanno sempre fatto, saranno un problema per sé ma anche per la società in generale».
La convinzione, infatti, è che lavorare per avviare un nuovo percorso positivo per ragazzi che hanno commesso reati contribuisca a migliorare la qualità della vita della comunità: «Io ho scelto questo lavoro per aiutare le singole persone, ma anche per aiutare l’insieme di persone che siamo. Le bay gang che oggi vediamo in giro sono un problema per tutti. Dargli istruzione e strumenti educativi per capire come prima cosa che possono vivere in un modo migliore è il nostro contributo».
All’interno della Casa di Pordenone convivono in un ambiente familiare 8 ragazzi tra i 15 e i 18, sia italiani che stranieri, con alle spalle reati minori. Per reati più gravi avrebbero trovato collocazione in strutture più adeguate.
Come è organizzata la Casa di Pordenone?
Il contesto è quello di una grande famiglia: all’inizio può anche risultare difficile, proprio perché non è la tua famiglia, non te li sei scelti. Questo vale anche per gli educatori, perché si tratta comunque di una convivenza. Inizialmente i ragazzi erano molto restii, perché non capivano che questa è un’opportunità, c’è voluto un periodo di assestamento, con qualche momento spiacevoli, ma poi siamo riusciti a imboccare la strada giusto e anche loro hanno capito che urlare o alzare le mani peggiora la situazione, perché certi comportamenti vengono sempre segnalati e rischi un aumento di pena o il ritorno in in carcere.
Che tipo di lavoro educativo e quali attività si svolgono?
Lavoriamo dal punto di vista educativo, principalmente di tipo scolastico, e poi dal punto di vista psicologico ed affettivo con la collaborazione di professionisti. Ci occupiamo di fornire alfabetizzazione per chi non sa bene la lingua e di supporto per la scuola e lo studio, di progetti per la stesura di curriculum, come presentarsi a un lavoro e le modalità per portare avanti un impiego. Abbiamo sviluppato un laboratorio di cucina orientato a gestire la scelta degli alimenti e le spese: ci siamo accorti, infatti, che questi ragazzi non hanno mai imparato che le cose costano e bisogna calcolare le spese che si fanno per non sprecare i soldi e ritrovarsi senza. Devono imparare uno stile di vita che non è quello che hanno seguito fino ad adesso, quando spesso si erano trovati ad avere in mano soldi facili. È un lavoro molto difficile: gli stiamo chiedendo di abbassare le aspettative del tutto subito e trovare soddisfazione in altro e deve essere fatto nel minor tempo possibile perché dopo qualche mese fa torneranno in contesti dove questo supporto educativo non ci sarà e dovranno da soli essere capaci di scegliere la strada nuova, che però è molto più faticosa.
Dal punto di vista psicologico facciamo in modo che i ragazzi che ne hanno bisogno intraprendano un percorso con uno psicologo, e in generale utilizziamo laboratori o attività indirette per farli parlare delle loro emozioni, che è un argomento su cui tutti ci sentiamo più fragili e non è detto che riusciamo a parlarne. Di base, però, prima dobbiamo conquistare la loro fiducia, devono sapere che li ascoltiamo veramente e cerchiamo di risolvere il problema. Solo allora si può avviare un percorso positivo e attivo.
Come si svolge la giornata?
I ragazzi si svegliano per le 8,30, fino alle 9,30 si lavano, fanno colazione e sistemano la camera. Abbiamo una persona che si occupa delle pulizie generali, ma la regola è che non deve sostituire i ragazzi nel prendersi cura del luogo. Anzi, il mandato è di insegnargli come fare. Stessa cosa per pranzo e cena: vengono aiutati dove non sanno, ma cucinano loro. Il principio è sempre quello della famiglia in cui bisogna fare insieme.
Dalle 9,30 alle 11,30 si svolgono le attività, poi preparano il pranzo, mangiano e sistemano la cucina. Dalle 14 alle 16, hanno del tempo libero ognuno per sé, poi dalle 16 alle 18 si fanno i laboratori espressivi o attività più ludiche che gli possano permettere anche di muoversi: non sono né capaci né abituati a stare fermi e concentrati a lungo, dobbiamo trovare strumenti alternativi per fare attività educativa. Dalle 18 si inizia a preparare la cena, si mangia e si sistema fino alle 21, quando si sceglie se guardare la tv o stare insieme a parlare fino alle 23, l’orario in cui si deve andare a dormire.
Quali sono le aspettative di Aedis in questo progetto?
Io non so se riusciremo ad aiutare tutti: me lo auguro in particolare per alcuni che ne avrebbero veramente bisogno, li vedi che sentono forte la necessità di avere un punto di riferimento adulto che possa incamminarli in quella che è una strada migliore e insegnargli a stare bene. Sappiamo bene che poi ognuno è responsabile della propria vita, ma sono convinta che il nostro compito sia comunque di fare tutto quello che è nei nostri doveri, come Aedis, e di impegnarci a rappresentare un modello adulto positivo a cui ispirarsi. Per loro siamo l’unica alternativa a quello che hanno imparato fino a oggi, e non dobbiamo mai smettere di ricordarcelo in ogni attività.